LEGNAGO. Testimonianza di Alessandro Zanniti all'istituto «Medici»
Il 26enne ha fondato con sei amici «Addiopizzo»
«La mafia ragazzi non è qualcosa di lontano noi, che appartiene solo alla Sicilia. Di infiltrazioni e sistemi mafiosi ne esistono anche qui al Nord. Per questo occorre capire che ciascuno nel suo piccolo può, anzi deve, fare la sua parte». Maurizio Ruzzenenti, presidente dell'associazione «Progetto Carcere 663-Acta non Verba» di Verona, ha esordito così al «Medici» di Porto di Legnago introducendo agli allievi di sette classi di diversi indirizzi un nuovo incontro del progetto di Educazione alla Legalità. A dimostrare che si può fare qualcosa di concreto, e che anche le piccole azioni possono trasformarsi in qualcosa di grande ed efficace, è arrivato a scuola Alessandro Zanniti, 26enne, palermitano, tra i fondatori ed attuale membro del direttivo di «Addiopizzo»: un movimento antimafia nato nel 2004 e impegnato in particolare nella lotta al racket delle estorsioni. «In sostanza, quello che in Sicilia viene chiamato più semplicemente pizzo», ha spiegato Zanniti. «Il termine deriva dall'espressione "pizzuliare", che in siciliano significa prendersi una piccola parte di qualcosa. Ed è esattamente questo che sta alla base del pizzo. Se io, mafioso, vado a diversificare l'estorsione in cifre più piccole, riesco a realizzare l'obiettivo del controllo del territorio e ad incassare più denaro». Un meccanismo perverso, che fino ad una decina d'anni fa era considerato normale per i tanti commercianti della zona, nonostante il sacrificio, risalente a molto tempo prima, dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso da Cosa Nostra il 29 agosto 1991 proprio per essersi opposto al pagamento del pizzo. «Mentre Grassi diventava un simbolo in tutta Italia», ha proseguito Zanniti, «a Palermo ci fu un silenzio assordante sulla sua morte. E il pizzo continuò ad essere una cosa normalissima». «A fondare il comitato antiracket», ha rimarcato, «è stato un gruppo di ragazzi, più o meno della vostra età. Una sera di giugno, attorno al tavolo di un bar, io e altri sei amici gettammo le basi del comitato. Decidemmo di stampare 3mila adesivi e di notte li attaccammo per tutta Palermo. La frase ideata era semplice: "Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità".Ma ebbe un impatto fortissimo, il nostro slogan aveva rotto un muro di silenzio lungo 14 anni». Quei sette ragazzi sono riusciti a raccogliere, di porta in porta, ben 13mila cittadini sostenitori e a mettere insieme un migliaio di operatori economici, tutti schierati contro il pizzo.
Elisabetta Papa, L'Arena - Edizione del 11/4/2017Sezione "Provincia", pag. 40